Il ‘vessel bunching’, una dinamica tipicamente legata all’organizzazione dei transiti sulle rotte ed all’evasione delle operazioni portuali unitamente ai volumi di merci trasportate è alla base delle catene di ritardi che ormai la Supply Chain vive quotidianamente.
Da quando, di semestre in semestre, il mondo globalizzato ha iniziato a rimettere in discussione ciascuno dei tasselli sui quali si incardinava in modo apparentemente incrollabile – almeno sino al 2019 – anche i non addetti ai lavori hanno familiarizzato con le più svariate fenomenologie dello Shipping e della Supply Chain più in genere.
Con l’espressione “vessel bunching” ci si riferisce ad una concentrazione di partenze di navi in una data settimana superiore al numero di servizi pianificati per quello stesso periodo. Un po’ come se organizzaste una festa invitando trenta amici e se ne presentassero cinquanta: questa situazione di sovraccarico si verifica quando, per un mix di fattori imprevisti, più navi sono costrette a conventare le partenze nello stesso periodo di tempo, causando un accumulo non programmato.
Le cause possono abbracciare le motivazioni più varie, dai ritardi nelle partenze dovuti a problemi logistici od operativi, alla carenza di navi disponibili, fino all’uso di navi extra per far fronte a un eccesso di domanda o a un arretrato di carico, per altro tutte motivazioni che possono auto-alimentarsi come in un domino. In tal caso, l’effetto è il cronicizzarsi di una situazione di perenne deficit infrastrutturale e l’istituzionalizzarsi del ritardo nell’espletamento del servizio.
Si tratta della situazione che attualmente vive lo Shipping, in modo più o meno pronunciato a seconda dei periodi.
Il Vessel Bunching nel tempo
Il vessel bunching ha, ovviamente, significative implicazioni per il settore dei trasporti marittimi internazionali. Il suo verificarsi spinge la pressione sui porti e sui terminal ad aumentare notevolmente, portando a un carico di lavoro che segue un’andamento sinusoidale dal periodo sclerotico: sproporzionato in una settimana e, per paradosso, quasi inesistente nella successiva.
La forte irregolarità peggiora le condizioni di lavoro ed è alla base, come già detto, di congestioni nei porti e di ritardi nelle operazioni di scarico e carico, oltre che ad un utilizzo inefficiente delle risorse portuali.
Si tratta di una dinamica molto attuale, che, dallo spartiacque della pandemia del 2019 in avanti, ha assunto un carattere dominante nelle operazioni quotidiane dei vettori marittimi.
Una recente analisi di Sea-Intelligence, focalizzata sul commercio marittimo tra Asia e Nord Europa, mostra proprio come il vessel bunching sia variato nel tempo: dal 2011 al 2019, vale a dire negli otto anni precedenti alla pandemia, i livelli di vessel bunching erano relativamente bassi, indicando una certa stabilità nei servizi marittimi settimanali e quello dei ritardi e delle partenze sfalsate come un fenomeno giustamente straordinario.
Tuttavia, il Covid e i lockdown hanno inceppato un meccanismo rodato da decenni, coinvolgendo un equilibrio e causando una serie di picchi estremi nel flusso di navi in partenza negli stessi periodi.
Si è dovuta attendere la fine del 2023 per osservare una tendenza alla normalizzazione, ma, a quel punto, è intervenuta la crisi del Mar Rosso ad interrompere questa ripresa, riportando il vessel bunching quasi ai livelli della pandemia. Secondo Sea-Intelligence, questo fenomeno rappresenta un indicatore chiave della pressione sui porti e delle potenziali congestioni, e non vi sono segnali che, attualmente, suggeriscano un alleggerimento di questa pressione.
Operazioni portuali alterate
Il vessel bunching è, di per sé, una sfida permanente per la gestione di un terminal container e in genere di un porto. Tutte le operazioni portuali ne risentono, secondo un devastante effetto a catena.
La dinamica è intuitiva e semplice: quando nella stessa settimana partono il doppio delle navi programmate, seguite da una settimana senza partenze, si crea un carico di lavoro diseguale.
Questo non solo aumenta la pressione sui porti, ma si ripercuote anche su tutto il sistema logistico, incluso l’uso di camion, ferrovie e chiatte. Ciò che infatti va in crisi è la capacità di evasione del carico di lavoro, che, per forza di cose, ha un dimensionamento: di fatto, un porto che riceve un volume annuo di navi, dovrebbe avere infrastrutture per smaltire fino ad un quantitativo doppio di navi simultaneamente. Una pretesa irrealizzabile perché non sostenuta da una reale domanda, motivo per cui al problema non c’è soluzione che non coincida con la normalizzazione entro una programmazione regolare degli arrivi e delle partenze dei vettori.
Altrimenti, l’aumento del lavoro concentrato in brevissimi periodi, non può che portare alle congestioni e ai ritardi che continuiamo a vedere ripercuotersi sulle catene di approvvigionamento.
Vessel Bunching e indici container
Il fenomeno è strettamente intrecciato con tanti altri aspetti dello Shipping, primo fra tutti l’andamento degli indici container e delle tariffe di noleggio marittimo.
Una tale sclerotizzazione dei flussi, che può verificarsi anche in assenza di eventi eclatanti e, dunque, in maniera apparentemente immotivata agli occhi anche degli analisti (che cosa accada nei porti cinesi, indiani e bengalesi è anche difficile da sapere, oltre che spesso trascurabile di per sé), influenza le tariffe di trasporto, che agiscono in modo simile ad un tasso azionario in base a domanda e offerta.
Nel vessel bunching va dunque ricercata una componente di quei prezzi ‘monstre’ che gli spedizionieri continuano a vedersi chiedere anche in momenti di relativa tranquillità, in quanto tra la causa e l’effetto intercorre uno sfasamento temporale, amplificato dalla distanza fisica tra il luogo in cui il problema si verifica e quello di chi noleggia, che tende a slegare il loro nesso.
Una conferma che la dinamica dei trasporti marittimi non abbia mai ripreso l’andamento ‘normale’, ossia pre-pandemico, lo si ha dai dati pubblicati settimanalmente da Drewry: il World Container Index (WCI) mostra infatti fluttuazioni significative – quello, sì, in modo costante – ormai dal 2020.
Tanto per dire, l’indice composito della scorsa settimana risulta in diminuzione del 4% sulla precedente, attestandosi a poco più di 3mila dollari per container da 40 piedi: un valore che è del 70% inferiore (dunque una buona notizia) rispetto al picco pandemico assoluto, $10.377 per container registrati nel settembre 2021.
Peccato che esso rimanga del 118% superiore rispetto alla media pre-pandemia del 2019, che era di 1.420 dollari per container da 40 piedi. Anche la media annuale (YTD) del 2024 è di $4.036 per feu, di $1.200 superiore della media decennale ($2.836), il che dimostra come, al netto dell’andamento delle singole settimane, si viaggi sempre pagando un container ben più di quanto non si facesse sino al 2019.
Dunque, il legame tra i due fenomeni è stringente, fanno parte dello stesso puzzle: il vero problema è che guardare alla sua ricomposizione è probabilmente sbagliato, in quanto le tessere stesse che lo compongono sono cambiate – e molte non le abbiamo ancora scoperte.
Fonte Logistica news
Ottobre 2024