Tendenze di deglobalizzazione

Il termine “reshoring” è, da alcuni anni, entrato prepotentemente nel vocabolario del settore industriale e logistico e si riferisce al processo di riportare entro i confini della nazione di appartenenza le attività produttive e le catene di approvvigionamento che erano state precedentemente spostate all’estero, principalmente in Paesi con costi di produzione più bassi. 

In pratica, si tratta del contrario della delocalizzazione, fenomeno sul quale si è basata l’espansione della produzione industriale a partire dagli anni ’70 del secolo scorso.

Il fenomeno del reshoring sta guadagnando sempre più attenzione a causa delle incertezze geopolitiche, delle dinamiche di mercato globali e delle nuove politiche economiche che favoriscono la produzione domestica. Si tratta dunque di un cambiamento nelle strategie industriali , sospinto anche dalle probabili misure protezionistiche che molti Stati potrebbero mettere in atto, che interessa le catene di approvvigionamento globali, attualmente pensate per servire una produzione dislocata su più continenti.

L’attualità del Reshoring

Il reshoring è diventato una questione centrale per molte aziende globali, stimolate da una combinazione di fattori che includono l’aumento dei costi di produzione all’estero, la necessità di una maggiore resilienza delle catene di approvvigionamento post-pandemia, e le pressioni per una maggiore sostenibilità e riduzione delle emissioni di carbonio. Le incertezze geopolitiche, in particolare le tensioni tra Stati Uniti e Cina, hanno ulteriormente accelerato questa tendenza.

Geopolitica e mercati globali

Le tensioni tra USA e Cina hanno giocato un ruolo cruciale nell’accelerazione del reshoring. La crescente competizione economica e le preoccupazioni per la sicurezza nazionale hanno portato molte aziende a riconsiderare la loro dipendenza dalla produzione cinese. Secondo un recente sondaggio di Bain & Company, il 69% delle aziende ha riferito di aver spostato le operazioni fuori dalla Cina nel 2024, rispetto al 55% nel 2022. Questo trend è alimentato dalla necessità di ridurre i rischi associati alle instabilità politiche e economiche.

Negli Stati Uniti, uno dei mercati che guarda maggiormente al reshoring come soluzione per svincolarsi dalla dipendenza dalle importazioni asiatiche, esso è stato ulteriormente stimolato da politiche economiche specifiche come l’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022, che offre sussidi e crediti d’imposta per incentivare la produzione domestica e il near-shoring. 

La legge promossa dall’Amministrazione Biden mira a rafforzare la manifattura interna e creare posti di lavoro, con un focus particolare sui semiconduttori, le tecnologie energetiche pulite e le catene di approvvigionamento dei veicoli elettrici. Parallelamente, il CHIPS Act degli USA ha messo in atto incentivi fiscali e finanziamenti per stimolare la produzione domestica di chip, rispondendo alla crescente domanda di unità di elaborazione grafica (GPU) alimentata dall’intelligenza artificiale.

Le prospettive per l’Europa

Anche in Europa, il reshoring sta emergendo come una necessità e forse anche un’opportunità. Le aziende europee stanno valutando il ritorno delle operazioni produttive più vicino ai mercati domestici per ridurre i rischi associati alle catene di approvvigionamento globali, lunghe e complesse – esigenza emersa già durante la pandemia da Covid-19. 

L’Unione Europea, attraverso varie iniziative e fondi, sta cercando di supportare questa transizione, promuovendo la sostenibilità e la competitività delle industrie locali: il reshoring offrirebbe infatti alle aziende europee l’opportunità di innovare e migliorare la loro resilienza operativa, mantenendo al contempo un focus sulla riduzione delle emissioni inquinanti.

Logisticanews

Novembre 2024

Andrea Lombardo

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