La ferita è stata suturata, ma la cicatrice rimarrà per sempre. Non è facile essere eredi di una tragedia, come dice Renzo Piano. Quando si arriva in quota, e si torna a guardare la città dall’alto, ponente e levante finalmente uniti su un unico orizzonte, diventa ancora più evidente che conta solo questo. Questa striscia di acciaio e asfalto, questi 1.067 metri che abbiamo invocato, raccontato, immaginato. Tutto il resto, la Crêuza de mä di Fabrizio de André reinterpretata dai suoi colleghi, i video con musica languida degli scorci più belli di Genova trasmessi dai mega schermi posti a metà della carreggiata, non ha grande importanza.
La parete invisibile
È come se ci fosse una parete invisibile a dividere in due il nuovo ponte. Su
una carreggiata c’è il bungalow dei discorsi ufficiali, della politica e
dell’imprenditoria che si fanno complimenti reciproci per un lavoro fatto bene,
una festa privata per ribadire di essere stati bravi. Dall’altra parte, oltre
ai media, ammassati a distanza, costretti a osservare da fuori, ci sono gli
operai, i lavoratori in attesa di essere presentati al presidente della
Repubblica. Nella loro composta soddisfazione, nel loro sano orgoglio per aver
costruito un simbolo e non una infrastruttura, c’è il vero senso di questa
giornata.
L’arcobaleno
La retorica imporrebbe di cominciare con l’arcobaleno che appare in cielo dopo
che la pioggia ha spazzato per un paio d’ore l’asfalto. Una voce
dall’altoparlante invita le autorità a prendere posto sulle seggiole bianche
fradice d’acqua. In lontananza, i reperti industriali della Valpolcevera sono
avvolti da nuvole grigie. Il maltempo e le necessità di fare in fretta hanno
aiutato a far sì che questa cerimonia molto istituzionale e affatto popolare si
svolgesse con un profilo il più basso possibile, ancora più sobrio di quanto
immaginato dagli organizzatori. Discorsi ridotti all’osso, quasi obbligati
all’essenziale, tagliata anche la cover di De André. Alla fine, ce l’hanno
fatta, a fare un ponte e a inaugurarlo con sobrietà.
Le luci per le vittime
Anche perché, a tornare lassù, non sono soltanto le luci accese dei 43 piloni,
uno per ogni vittima del 14 agosto 2018, a ricordare cosa è stato, cosa devono
avere provato quelle povere persone mentre stavano andando al lavoro, in
vacanza, dai parenti, e all’improvviso più niente, ma con il tempo di capire
cosa stesse accadendo, che stavano morendo per niente, senza alcuna spiegazione
plausibile. A questo pensa Emmanuel Diaz, fratello di Henry, uno dei 43 morti
del Morandi, mentre accompagna la madre Norha Elena verso il bungalow dove si
svolge la cerimonia e intanto le dice di non guardare giù, «di non immaginare».
La donna, con l’aria sperduta di chi non capisce perché c’è tutta questa gente
intorno a lei, dice che invece ci tiene, vuole vedere «dove è morto mio
figlio».
La pioggia e il vento
Non è lo stesso ponte, non è neppure lo stesso luogo. Ma è difficile spiegare,
è davvero difficile essere eredi di una tragedia. All’improvviso sembrano
averlo capito tutti. Non è solo la pioggia, il vento inclemente, l’avviso di
tempesta intorno alle 19.30. Non sono solo i nomi dei 43 scanditi con una voce
un po’ meccanica all’inizio della cerimonia. Il primo atto ufficiale di Sergio
Mattarella dopo il suo arrivo a Genova è stato l’incontro con una delegazione
del comitato dei familiari delle vittime. Ha parlato solo con loro, nessuna
altra dichiarazione. L’ultimo, un attimo prima di ripartire, è stato uno
scambio neppure breve con Emmanuel e Norha, non previsto da alcun cerimoniale.
Non ci sono stati abbracci, non si può, ma a volte bastano anche solo gli
sguardi. Con tutto il rispetto per l’arcobaleno, la foto del giorno sarebbe
questa.
La sobrietà
Non importa se la sobrietà è stata indotta oppure spontanea. La giornata che
doveva inaugurare il futuro, così era stata presentata con una certa
magniloquenza, ha avuto parole e gesti rivolti al passato, come era giusto che
fosse. A metà strada tra il «mai più» e il «sempre così», è la sintesi del
presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Alla fine, nonostante la
volontà di caricarne il significato, si tratta pure sempre di un ponte
costruito nei tempi giusti che ne sostituisce un altro crollato per mancata
manutenzione e incuria. Se ne rendono conto tutti. Mancano persino i selfie tra
i politici, per beneficio di inventario ne abbiamo notato uno solo, tra Luigi
Di Maio e l’ex ministro alle Infrastrutture Danilo Toninelli. Leggi tutta la notizia
Fonte: CORRIERE DELLA SERA