Cosa frena i treni merci in Italia oltre la Tav Torino-Lione

Convogli troppo corti, gallerie da rifare, eccessiva burocrazia, il ruolo ambiguo di Ferrovie dello Stato.

Infrastrutture inadeguate, distorsione dei prezzi, burocrazia, mancanza di un grande campione nazionale: il governo si avvita sull’analisi costi-benefici della Tav Torino-Lione, pubblicata online sul sito del ministero dei Trasporti. Ma rimane il fatto che i problemi del trasporto merci via ferro in Italia sono più gravi e vengono da lontano. Secondo i dati dell’associazione Fercargo, la quota di trasporto merci su treno è per il nostro Paese del 12%, contro il 70% della Svizzera, il 25% della Germania, il 35% dell’Austria. L’Italia è storicamente poco attenta allo sviluppo della rete ferroviaria – almeno da quando «quello che era buono per Fiat, era buono per il Paese» – ma negli ultimi anni la situazione è molto peggiorata. Nel 2008 viaggiavano sui binari italiani 71 milioni di treni-chilometro. Nel 2018 si stima che siano stati 47,4 milioni (erano 48 nel 2017). Se si tiene conto che, rispetto al picco del 2008, il Pil dell’ultimo trimestre del 2017 è inferiore di circa il 5%, è chiaro come il crollo abbia ragioni ben più ampie e gravi della crisi economica.

ANDARE FINO A LIONE: A QUALCUNO FREGA

Daniele Testi, direttore marketing e comunicazione del gruppo Contship, spiega: «Non c’è solo una causa, ma ce ne sono molteplici. A partire dalla struttura orografica italiana e dal fatto che siamo un Paese di piccole e medie imprese, dove è difficile fare massa per riempire un treno». Parafrasando il ministro Danilo Toninelli, Contship è tra quelle aziende a cui frega eccome di andare a Lione. La società, che è attiva nel trasporto via mare, via strada, via ferro, ha infatti avviato a ottobre 2018 un servizio cargo regolare su binario che dal centro intermodale di Melzo, alle porte di Milano, raggiunge Lione. Si tratta di tre treni alla settimana. «Io non entro nell’analisi costi-benefici, ma certamente se potessimo fare treni in maniera più economica il servizio potrebbe essere più competitivo e conquistare nuovi traffici che oggi non è facile togliere dalla strada, che ha prezzi più vantaggiosi e incentivi più sostanziosi». Per fare treni più convenienti e arrivare Oltralpe i nuovi tunnel sono necessari, ma non solo.

1. PROBLEMI: TRENI TROPPO CORTI E GALLERIE

La prima evidente differenza tra Italia e resto d’Europa è la lunghezza dei treni. Nel nostro Paese viaggiano convogli lunghi 500-550 metri, nel resto d’Europa siamo a 750. Questo vuol dire una cosa molto semplice: le economie di scala si riducono del 25-30%. Il secondo problema sono le gallerie: per far salire i semirimorchi sui carrelli ferroviari, è necessario che questi poi non “tocchino” il profilo delle gallerie in altezza, gallerie che vanno quindi ri-sagomate ampliate. «Da questo punto di vista», dice Testi, «la ferrovia ad alta velocità/alta capacità serve perché consente di superare punti critici come i valichi ferroviari che, quando troppo ripidi, impediscono il passaggio di treni troppo lunghi e pesanti». Allo stesso tempo, però, bisogna adeguare le infrastrutture esistenti: «Nel cronoprogramma di Rete ferroviaria italiana gli assi principali che collegano il Nord alla Pianura padana e quindi alla dorsale adriatica fino a Bari saranno disponibili nel 2020-2021 per treni lunghi 750 metri e capaci di caricare 2 mila tonnellate». Fino ad allora è chiaro che i treni viaggiano a scarto ridotto e che la Tav, da sola, non basta.

2. COSTI: DOPPIO MACCHINISTA E POCHI COLLEGAMENTI COI PORTI

Le infrastrutture, però, non sono l’unico problema. L’Italia rimane uno dei pochi Paesi in cui è obbligatorio il doppio macchinista, per una questione di sicurezza che, in realtà, è molto controversa (non sempre la doppia presenza permette di ridurre gli incidenti). Questo fa lievitare i costi di un 10%. Infine, per entrare-uscire dai porti e dagli interporti i collegamenti sono pochi efficienti. «Il costo delle cosiddette manovre ferroviarie per far entrare e uscire un treno dal porto incide, per la tratta tra un porto ligure e Milano, anche del 25-30%», spiega Testi.

3. CERTIFICATI: UNO DIVERSO PER OGNI TRATTA

C’è poi la questione delle licenze e i certificati di sicurezza (i primi rilasciati dal ministero dei Trasporti e i secondi da Ansfisa, l’Agenzia per la sicurezza di ferrovie, strade e autostrade), perché per far circolare un locomotore i documenti non valgono su tutta la rete, ma solo per comparti geografici, ossia singole tratte della rete. «Questo vuol dire che, per far partire un nuovo treno, bisogna aspettare 6-12 mesi se si ha già una licenza; 16-18 mesi per una nuova azienda ferroviaria». E, infine, è tutto da capire il ruolo di Ferrorive dello Stato (oggi Mercitalia), l’azienda pubblica. In altri Paesi, come la Germania con Deutsche Bahn (Db), l’operatore nazionale traina il mercato. L’Italia, dagli anni di Mauro Moretti in Fs, è in caduta libera. Altri due dati: nel 2008 il 95% dei traffici era fatto da Trenitalia. Oggi l’azienda di Stato è poco sopra il 50%, di fronte a traffici quasi dimezzati. Sono cresciuti, molto, i privati, ma questo non è bastato a fermare l’emorragia. «E sul mercato rimane un soggetto in perdita che ci fa concorrenza ma che, per evidenti motivi, non può fallire», commenta Testi.

4. ESEMPIO SVIZZERO: I TRAFFICI POSSONO CRESCERE

In questo contesto non appare così stupefacente che un’analisi costi-benefici basata semplicemente sull’esistenza della Torino-Lione non dia risultati spendibili a favore dell’opera. Per lanciare i treni serve fare anche altro: infrastrutture, burocrazia, investimenti. Se si facesse tutto questo, quanto potrebbe migliorare il trasporto merci su treno? Difficile dirlo, ma un assaggio dei benefici ottenibili si può intuire da quanto sta succedendo nei collegamenti tra Italia e Svizzera che, in attesa del completamento di Alp Transit – cioè il nuovo sistema di tunnel di base del Gottardo e del Ceneri – ha visto crescere di molto i servizi cargo dedicati, nonostante diverse criticità. «Come operatori privati cerchiamo soluzioni creative per superare gli attuali limiti», dice Testi, «noi di Contship per esempio dai porti liguri (La Spezia e Genova) e da Ravenna concentriamo i carichi su Melzo da dove poi possono partire treni pieni verso Basilea, Zurigo, Rotterdam». Così facendo si alzano un po’ i prezzi – andare diretti ovviamente costa meno – ma il raggruppamento consente di riempire un treno al giorno. «Abbiamo spostato 20 mila container che prima sceglievano Rotterdam o Anversa invece che un porto italiano», conclude Testi.

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