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    Dazi, gli Stati Uniti ridisegnano la mappa degli scambi globali

    Il commercio internazionale è indubbiamente entrato in una nuova era di instabilità o, come qualcuno inizia a definirla, di ‘nuova stabilità’, parafrasando la ‘nuova normalità’ post-Covid che di ‘normale’ spesso aveva ben poco. 

    Le tariffe sugli scambi commerciali imposte dagli Stati Uniti sotto la presidenza di Donald Trump stanno alterando in maniera profonda i flussi logistici globali, costringendo imprese, ma soprattutto i meno agili governi nazionali, a ripensare rotte, fornitori e strategie. 

    Dopo un semestre abbondante di continui annunci e ritrattazioni, il sistema economico internazionale è ormai disorientato e atomizzato, con buona parte del mondo occidentale esasperato al punto da non riuscire più a mettere a fuoco gli interessi comuni e a far seriamente quadrato per contrastare una politica, quella statunitense, che ribalta in toto i presupposti degli scorsi 80 anni, consegnando il mondo a quella che alcuni analisti e politologi cari al Cremlino hanno riconosciuto come una nuovo ordine basato sulla forza e non più sul diritto.

    Senza entrare in questioni più profonde, rimane che l’agosto 2025 vede entrare in vigore dazi che colpiscono unilateralmente 92 Paesi tra i più disparati del pianeta, con aliquote che oscillano tra il 10% e il 50%, con il sistema doganale mondiale che si è trasformato in un campo di battaglia economico e geopolitico. 

    Le conseguenze si riflettono, com’è ovvio, non solo sui bilanci nazionali, ma anche sulle catene di approvvigionamento e sugli aspetti più pratici della loro vita, come i tempi di consegna e la sostenibilità dei trasporti intercontinentali. Il protezionismo USA sta, di fatto, spingendo molti Paesi verso nuove alleanze: il gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ha ripreso vigore come alternativa sistemica, mostrando un potenziale per creare rotte commerciali autonome e infrastrutture logistiche indipendenti da quelle occidentali. 

    A seconda di quanto e in che forma le tensioni continueranno, si potrebbe assistere a una biforcazione del commercio globale: da un lato l’asse occidentale, dall’altro un blocco emergente che ridisegna le mappe dei trasporti, dei porti e dei corridoi intercontinentali.

    Il rapporto USA-Cina: tregua fragile e logistica strategica

    Volendo dare un’occhiata alle singole situazioni che si sono venute a creare, quella della Cina, epicentro della produzione globale, è la prima da prendere in considerazione. Pechino ha subito un assalto frontale con l’imposizione di dazi inauditi fino al 145%, equivalenti in pratica a un embargo nei confronti dei suoi prodotti – dai quali industrie e consumatori statunitensi, però, dipendono. 

    Pechino ha, dal canto suo, risposto con contromisure al 125% e paralizzando temporaneamente flussi di scambio vitali come quelli di terre rare e di componenti tecnologici. 

    La tregua di 90 giorni, negoziata in Svezia, ha riaperto i canali commerciali, ma la scadenza imminente del 12 agosto minaccia di interrompere nuovamente le rotte marittime e aeree tra Asia e Nord America. Le imprese logistiche monitorano con attenzione ogni sviluppo, consapevoli che un ritorno all’escalation potrebbe deviare milioni di container verso mercati alternativi, primo fra tutti quello europeo, che teme un invasione commerciale.

    C’è da dire che l’ultima versione della saga dei dazi tra Washington e Pechino parla di una tariffa ‘congelata’ al 24%, che sommandosi ad altre già esistenti potrebbe raggiungere il 50%; il presidente Trump ha poi vagheggiato di una nuova proroga, ma il tutto è subordinato a investimenti che le aziende cinesi dovrebbero impegnarsi a compiere sul suolo a stelle e strisce.

    India: petrolio russo e rotta verso i BRICS

    L’India è al centro di una disputa energetica, nonché di una situazione paradossale. Il premier indiano Narendra Modi, infatti, ha visto ripagare il suo essere un fervente pro-Trump, la cui presunta amicizia è stata più volte sbandierata in patria, con una decisa stangata sugli scambi commerciali

    La motivazione e ufficiale risiede nell’acquisto da parte di Nuova Delhi di petrolio russo, che avrebbe provocato l’ira di Washington imponendole ulteriori dazi per un 25% e portando l’aliquota totale al 50%. 

    Nuova Delhi ha reagito con fermezza, confermando la sua posizione con una telefonata tra Modi e Putin: il 38% del greggio indiano arriva da Mosca e un’interruzione dei flussi comprometterebbe la logistica energetica dell’intero subcontinente. La risposta indiana segna quindi un allontanamento del colossale Paese dagli USA e un avvicinamento al blocco BRICS, che potrebbe consolidarsi come alternativa alle rotte commerciali occidentali.

    Giappone e Corea del Sud: incertezza su accordi e logistica

    Entrambi i Paesi asiatici, economie trainanti ed industrialmente molto evolute, hanno finito per accettare dazi al 15%, ma è il settore automotive a restare in bilico

    Trump, almeno nella prima decina di agosto, non ha firmato l’ordine esecutivo per abbassare le tariffe sulle auto, lasciando in sospeso migliaia di container in transito. 

    Le aziende giapponesi, in particolare, temono ritardi e costi aggiuntivi nei porti americani, con ripercussioni su tutta la filiera, considerati i volumi che alcune sue industrie (vedi Toyota) esportano negli Stati Uniti. La logistica asiatica, già sotto pressione per le tensioni con la Cina, è quindi a rischio di una frammentazione ulteriore.

    Svizzera e Canada: dazi pesanti e risposte simmetriche

    In maniera abbastanza inaspettata, la Svizzera è stata designata come destinataria di un dazio del 39% su orologi, cioccolato e macchinari di precisione, mentre l’oro è esente da tariffe. Le esportazioni elvetiche, fortemente dipendenti da trasporti aerei ad alta sicurezza, subiranno un probabile rallentamento. 

    Il Canada, invece, secondo partner commerciale degli USA, ha reagito al dazio del 35% con misure equivalenti su acciaio, alluminio e prodotti agricoli. Le rotte ferroviarie e marittime tra i due Paesi, un tempo fluide, sono ora soggette a controlli doganali che ne rallentano i flussi.

    Brasile: dazi ‘politici’ e riorientamento logistico

    Il Brasile, altro tassello economico e politico fondamentale del Sud America e dei BRICS, ha visto i dazi di Washington nei propri confronti salire fino al 50%, in quello che colti analisti hanno letto come una ‘ritorsione’ del presidente Trump contro Lula per via del trattamento riservato all’ex presidente brasiliano ultra-populista Bolsonaro. 

    Tuttavia, è degno di nota che esportazioni strategiche come quelle legate all’industria aeronatica (Embraer è un’azienda carioca), ai metalli e a prodotti alimentari come succo d’arancia, molto richiesti negli USA, sono state escluse dalle tariffazioni. 

    La logistica brasiliana, orientata verso gli USA, si vede comunque spinta verso la ricerca di nuove destinazioni, mentre il presidente in carica Lula coordina con India e Cina una risposta comune. I porti atlantici brasiliani potrebbero diventare hub alternativi per il blocco BRICS, ridisegnando le rotte sudamericane e offrendo una sponda ben più strutturata di quella degli scali peruviani, colombiani ed equadoriani sui quali ha investito la Cina negli ultimi anni.

    Messico: moratoria e trattativa logistica

    Il Messico ha ottenuto una moratoria di 90 giorni, con blocco dei dazi al 25%. Se non alto, per il Paese centramericano guidato dalla presidentessa Sheinbaum, i beni inclusi nell’accordo di libero scambio USMCA tria USA, Canada e Messico restano esenti, salvando parte dei flussi tra i tre Paesi nordamericani.

    Resta e pesa l’incertezza sulle aziende logistiche, che temono un irrigidimento delle tariffe e una frammentazione del corridoio commerciale tra Messico, USA e Canada.

    Unione Europea: accordo parziale e tensioni interne

    Infine l’Europa: il patto di Turnberry dello scorso luglio ha fissato un dazio omnicomprensivo del 15% sull’import europeo negli USA, ma con auto e farmaci che restano esclusi, almeno secondo l’interpretazione della Casa Bianca

    Le tariffe sulle automobili sono ancora al 27,5%, mentre i farmaci sono sotto indagine da parte statunitense. 

    La logistica europea, già sotto pressione per il Green Deal, affronta ora ostacoli doganali che rallentano i flussi verso gli USA, ma la vera incertezza è normativa e deriva dall’assenza di una dichiarazione congiunta e chiara Washington-Bruxelles.

    Fonte Logistica news

    di Andrea Lombardo

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