Il 3 febbraio 2025, a meno di due settimane dal suo insediamento alla Casa Bianca, il neopresidente americano Donald J. Trump ha iniziato a rivedere le politiche commerciali definite dalla precedente amministrazione, annunciando dazi addizionali del 25% per le importazioni da Canada e Messico, tasse doganali del 10% nei confronti della Cina e la reintroduzione di tariffe al 25% su tutti gli acquisti di acciaio e alluminio che erano state sospese per un gruppo di Paesi, tra cui quelli UE.
Torna a farsi strada, dunque, il principio di “American First” già perseguito dal tycoon durante il suo primo mandato e che questa volta sembra mostrarsi in una chiave ancora più aggressiva: una leva attraverso cui incidere sulla sicurezza nazionale, sulla geopolitica e sulla geografia degli scambi mondiali.
Con lo studio intitolato “La nuova politica commerciale degli Stati Uniti: scenari e canali di trasmissione. I settori e i prodotti europei e italiani più a rischio”, il Centro Studi di Confindustria ha esplorato i pericoli, per l’Europa e per l’Italia, di un’eventuale guerra commerciale.
Rischi considerevoli che, pur essendo tali, aprono ad alcune opportunità collegate a quote di mercato potenzialmente contendibili liberate dal decoupling con la Cina nel mercato statunitense.
Con 65 miliardi di euro di export, infatti, gli Stati Uniti rappresentano la prima destinazione extra-UE per i prodotti made in Italy e una quota rilevante del surplus commerciale nazionale. Rispetto alla media UE, l’export italiano è più esposto al mercato americano, mentre l’import è meno dipendente dalle forniture USA rispetto ai ventisette. I principali settori italiani esposti al mercato americano figurano le bevande (39%), gli autoveicoli e altri mezzi di trasporto (30,7% e 34%) e la farmaceutica (30,7%)”.
L’esposizione italiana agli Usa, evidenzia ancora lo studio, cresce se si considerano anche le connessioni produttive indirette, cioè le vendite di semilavorati che sono incorporati in prodotti per il mercato americano. Viceversa, nel settore primario Italia e UE registrano un deficit commerciale con gli Stati Uniti, principalmente a causa dell’import di gas naturale americano che ha sostituito i flussi provenienti dalla Russia dopo l’aggressione della stessa ai danni dell’Ucraina.
Per individuare i prodotti più a rischio, il Centro Studi di Confindustria ha formulato tre criteri di selezione, in base all’esposizione dell’export, al livello di surplus bilaterale e alla strategicità dei prodotti secondo la logica statunitense di sicurezza economica.
Le tre principali filiere italiane esposte sono quella dei mezzi di trasporto, quella dei prodotti chimici e farmaceutici, quella degli alimentari e delle bevande, che insieme rappresentano l’85% del totale esportato e quasi il 90% del surplus commerciale.
Aprendo l’analisi anche all’Europa, i due principali settori strategici per le filiere nazionali e dell’UE sono i prodotti chimici, farmaceutici e i macchinari, che rappresentano più dell’80% del valore dell’export di prodotti strategici.
Considerato l’obiettivo di riduzione del deficit commerciale americano come presupposto della politica “American First”, lo studio chiarisce che i prodotti con elevato surplus commerciale sono quelli che rischiano maggiormente di essere interessati dai dazi.
Sarà cruciale per l’Europa, dunque, avviare trattative con l’Amministrazione Trump. Ma sarà ancora più essenziale accrescere l’attrattività europea riducendo i vincoli al business e avviando una vera 3 politica industriale per evitare deflussi di capitali verso gli Stati Uniti, che è ciò che sta già accadendo.
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Marzo 2025