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    Evoluzione del commercio internazionale e geopolitica

    L’ultima prova di forza, in ordine di tempo, sono le esercitazioni armate intorno all’isola di Taiwan, da tempo ormai immemorabile, oggetto di tensione tra oriente e occidente, più precisamente tra Cina e Stati Uniti.

    Taiwan, e quello che potrà accadere intorno al suo desiderio di indipendenza avverso alla volontà di appartenenza della Cina, è storia non ancora scritta mentre il presente parla del conflitto tra Russia e Ucraina come occasione più evidente del costante deterioramento delle relazioni tra due blocchi contrapposti costituiti dalla Cina e dalla Russia da una parte e dagli Stati Uniti ed i suoi alleati europei, dall’altra.

    Un recente documento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) “International Trade Cooperation’s Impact on World Economy”, ha posto l’accento sull’incidenza di tale scenario, indicato come “rivalità geopolitica”, sull’evoluzione del commercio internazionale, sui rischi per il PIL, i volumi commerciali ed i loro flussi.

    Lo studio ha quindi analizzato due prevalenti sub scenari, il primo definito di “rivalità totale” in cui i paesi si uniscono ad uno dei due blocchi, occidentale o orientale, ed il secondo detto di “rivalità parziale” in cui i paesi si mantengono neutrali per commerciare con entrambi i blocchi.

    Tale situazione si ripercuote sul sistema marittimo globale dove la geopolitica ha di fatto spaccato il commercio tra il blocco occidentale rappresentato dagli Stati Uniti e comprendente i paesi Nato, e quello orientale rappresentato dalla Cina e dalla Russia, comprendente i paesi loro satelliti.  Tra di essi agiscono poi i paesi neutrali pronti a fare affari con l’una o l’altra parte, sulla base di convenienze più contingenti ma senza schierarsi apertamente.

    Le ricadute su navi cisterna e petroliere

    Un’analisi condotta da Greg Miller per Freightwaves, evidenzia come questo meccanismo di biforcazione geopolitica si sia applicato anche al trasporto di greggio russo e diesel colpiti dalle sanzioni occidentali.

    In entrambi i casi si è sostituito un commercio a corto raggio, tra Russia ed UE, con uno a lungo raggio in quanto l’export di petrolio russo è stato dirottato verso Cina ed india e quello di prodotti raffinati verso Nord Africa, Asia e Sud America. Per contro l’Europa è costretta a rifornirsi dagli Stati Uniti, dal Medio Oriente oltre che dall’Asia.

    Il risultato è senza dubbio vantaggioso per chi noleggia ma penalizza in termini di tariffa chi acquista essendo aumentate le distanze espresse in tonnellate-miglia delle petroliere.

    Anche la flotta in gioco subisce una evidente biforcazione attraverso le petroliere che agiscono con transazioni in dollari, assicurazioni e finanziatori occidentali, a cui si contrappone la cosiddetta “flotta ombra” composta da navi di proprietà opaca e rastrellate sul mercato delle navi in disarmo.

    Secondo il documento dell’OMC, un passaggio stabile allo scenario di rivalità geopolitica anziché di cooperazione multilaterale, comporterebbe un calo del PIL del 6,4% sino al 2050 per i paesi industrializzati e del 10,2% per quelli meno sviluppati, con drastiche cadute della domanda di petrolio che invece è sorretta da una crescita del PIL.

    L’intero quadro sarebbe poi soggetto ad un deciso peggioramento se le tensioni tra Cina e Stati Uniti dovessero sfociare in un conflitto a causa di Taiwan, sino a determinare un blocco dell’intera economia mondiale.

    Gli effetti sul mercato dei container

    Le considerazioni che si possono fare relativamente alla movimentazione dei container in partenza dalla Russia non si differenziano di molto da quanto detto per navi cisterne e petroliere.

    Poiché la maggior parte delle compagnie di portacontainer ha cessato ogni rapporto con i porti russi, sono subentrati altri vettori che hanno stimolato l’attività del mercato delle navi di seconda mano dismesse. 

    Si va così creando una flotta contrapposta alla precedente, dedicata al commercio con la Russia e finanziata da acquirenti dalla Cina, Turchia, Dubai. 

    A definire meglio i confini del comparto dei container vi sono poi due fattori rilevanti anche per le sue prospettive a lungo termine e per definirne la sensibilità alle tensioni geopolitiche.

    Il primo consiste nella grande dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni in container dalla Cina che rappresentano il 30% delle importazioni totali USA nel 2022.

    Il secondo è rappresentato dalla crescita degli interventi di reshoring della produzione di particolari beni negli Stati Uniti e di nearshoring soprattutto in Messico.

    L’affermarsi di programmi in tal senso, oltre che limitare le conseguenze di nuovi potenziali disordini geopolitici, ridurrebbe il traffico transpacifico.

    Infine, il mercato della rinfusa secca, che in termini di volumi di carico è il più grande al mondo nell’ambito del trasporto marittimo, sta subendo la stessa biforcazione di tutte le altre merci colpite da sanzioni.

    L’aumento delle distanze da percorrere, da parte della Russia, per servire nuovi compratori, così come quelle necessarie a raggiungere, da parte dell’UE, nuove fonti di approvvigionamento, ha reso il commercio meno efficiente e più sensibile alla rivalità geopolitica.

    A trarre profitto dalla situazione sono comunque, anche in questo caso, i gestori delle nuove flotte alternative, se non propriamente “ombra”, che stanno sviluppando quel doppio livello che garantisce i flussi di merci seppur in un mercato che corre il rischio reale di una progressiva frammentazione. 

    Fonte Logistica News

    di Andrea Lombardo

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