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    La Catena di fornitura dell’auto si ristruttura per gli EV: timori, difficoltà e diversi approcci UE-USA

    L’industria automobilistica di tutto il mondo – in particolare quella occidentale – sta affrontando una rivoluzione interna con il passaggio alla produzione di auto elettriche Questa transizione, che i ‘pionieri’ hanno iniziato circa dieci anni fa con le prime conversioni di impianti produttivi, implica una ristrutturazione significativa della catena di approvvigionamento: la priorità è adattarsi a un modello di produzione che richiede meno parti meccaniche e più componenti elettronici.

    L’industria automotive USA in ansia 

    Negli Stati Uniti, la transizione verso gli EV genera ansia tra i fornitori di componenti tradizionali. 

    Recentemente la Specialty Equipment Market Association (SEMA), che rappresenta circa 7mila piccoli fornitori dell’indotto automotive USA, ha ricordato che un terzo dei suoi prodotti è dipendente dai motori a combustione interna (ICE)

    Con le nuove regolamentazioni dell’EPA (l’agenzia governativa USA per la protezione dell’ambiente) che mirano a ridurre le emissioni di gas serra del 50% entro il 2032, SEMA teme un impatto negativo sia sulle vendite e sia sull’occupazione; per questo motivo spinge per una politica più inclusiva che consideri anche altre tecnologie sostenibili.

    Altre associazioni industriali, come la MEMA, Motor Engine Manufacturoing Association, ha espresso sostegno alle regolamentazioni dell’EPA ma ha anche chiesto che Washington incoraggi anche altre tecnologie, come le motorizzazioni ibride plug-in, senza imporre l’applicazione di un percorso tecnologico eccessivamente definito.

    Dal canto suo, l’amministrazione Biden ha annunciato, ad inizio maggio, che il Dipartimento dell’Energia erogherà 100 milioni di dollari per aiutare i fornitori dell’automotive ad affrontare la transizione.

    La metà di questi fondi andrà a partenariati statali che forniranno a loro volta sovvenzioni in aiuto dei fornitori, piccoli e medi, nella conversione della catena di approvvigionamento dalle componenti di un motore a combustione interna a quelle per EV. L’altra metà dello stanziamento andrà in sovvenzioni ai fornitori per avviare progetti di diversificazione e conversione della produzione.

    Le difficoltà in campo 

    Uno studio a firma Deloitte pubblicato nel 2023 confermava le difficoltà ad affrontare la transizione per molti fornitori.

    Uno dei punti focali dello studio era la tendenza dei produttori di auto a spingere per lo sviluppo di soluzioni innovative sempre più indietro attraverso la catena del valore: in poche parole, una sorta di ‘scarica barile’ su a chi spetti realmente investire in tecnologia. 

    In questo modo diversi fornitori faticano a stare al passo con i costi e con il ritmo del cambiamento.

    Tuttavia, si prospettano anche molte opportunità per i fornitori di cambiare marcia: basti pensare al ‘rimanufacturing’ delle batterie che vanno sostituite e lo sviluppo di sistemi frenanti e di pneumatici che funzionino meglio e durino più a lungo sottoposti a sollecitazioni differenti che in passato. 

    Il punto è che i fornitori dovrebbero agire d’anticipo per adeguare il loro portfolio, abbandonando i sistemi per i quali la domanda andrà a morire per allinearsi alle nuove richieste post-vendita dedicate ai veicoli elettrici a batteria.

    L’industria europea e gli EV: impegno, ma con cautela

    In Europa, la situazione non è dissimile ma ha sfumature proprie. L’industria affronta la transizione con un approccio più cauto, tenendo conto, da una parte, delle difficoltà economiche e, dall’altra, di quelle tecnologiche. 

    L’Europa sta innanzitutto cercando di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di componenti cruciali per gli EV come per molti altri prodotti hi-tech (ad esempio, i chip) e di sviluppare infrastrutture di ricarica su larga scala, promuovendo al contempo l’innovazione e la sostenibilità a lungo termine.

    L’industria automobilistica europea sta, di fatto, affrontando la transizione verso i veicoli elettrici con un misto di quelle che si potrebbero definire cautela e impegno.

    Sul fronte della cautela, è visibile a tutti lo sforzo di molte lobby e forze politiche nazionali in favore di una diluizione dell’addio all’endotermico; non è un mistero che alcuni grandi costruttori europei stiano procrastinando la transizione all’elettrico, esprimendo dubbi sui tempi e sulle modalità di abbandono dei motori termici.

    L’Europa è, come si diceva, conscia di dover mettere sul piatto enormi investimenti in tecnologie per la mobilità elettrica, sia nell’ottica di ridurre la dipendenza da paesi come la Cina, per le batterie, e Taiwan, per l’elettronica. Non si tratta però di un percorso agile e snello, anzi.

    Vi è poi il dibattito sulla sostenibilità stessa degli EV: ci sono dubbi sull’effettivo contributo positivo alla riduzione globale delle emissioni di CO2, alimentati sia da lobby industriali, sia dalle forze sovraniste attualmente presenti in forze nei governi europei.

    Questo quadro fa sì che, nel frattempo, aumenti anche la pressione sui margini dei fornitori, che, nell’arco del 2024, si prevede che entreranno sempre più in sofferenza a causa dell’aumento dei costi e della necessità di investimenti significativi (come sopravanzava la ricerca Deloitte).

    I problemi comuni della conversione

    L’industria automobilistica europea, per quanto viva in un contesto differente da quello americano, condivide alcuni timori e problemi con quella statunitense, come la pressione sui costi e la necessità di riconvertire la Supply Chain.

    Ci sono infatti alcune esigenze pratiche che si ripropongono identiche a qualsiasi latitudine.

    I fornitori di componenti tradizionali, per affacciarsi sul mercato dell’industria dei veicoli elettrici, devono adattare le capacità produttive. Si tratta di rivedere le linee di produzione per adeguarle alle nuove piattaforme EV, che differiscono significativamente da quelle dei veicoli a combustione interna .

    Per ottimizzare spazi e processi, dovrebbero anche investire sull’automazione, dalla quale ci si aspetta anche una diminuzione della necessità di nuove strutture ex novo.

    Importantissimo è poi il capitolo della formazione della forza lavoro, in quanto, con l’introduzione delle nuove piattaforme EV, i lavoratori devono essere formati per gestire processi di produzione completamente diversi da quelli tradizionali – basti pensare al fatto che si maneggiano apparati che lavorano ad alta tensione, facendo somigliare le future catene di montaggio automobilistiche a quelle di industrie elettroniche più che meccaniche.

    Infine, c’è il tema della domanda crescente di componenti per batterie, che si prevede raggiungerà potenzialmente i 250 miliardi di dollari entro il 2030.

    In questo quadro si inseriscono i dazi – da potenziare o da imporre, a seconda che si parli di USA o UE – nei confronti delle aggressive aziende automotive cinesi, forti della propria potenza di fuoco e di, ormai, storiche e consolidate partnership con i Marchi dell’auto occidentali. Di fronte alla resistenza all’innovazione – ed ai mancati investimenti sulle infrastrutture nazionali – da parte di alcuni Marchi europei, si sta assistendo ad un’apertura dei mercati europei direttamente alle case automobilistiche cinesi, che non si fanno mai trovare impreparate.

    Fonte Logisticanews Giugno 2024 Andrea Lombardo

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