Un nuovo capitolo si apre nella geografia del commercio marittimo globale. Sabato 20 settembre, dal porto cinese di Ningbo-Zhoushan, è salpata la Istanbul Bridge, una portacontainer da poco meno di 5mila TEU di capacità, con la prua puntata direttamente verso il Nord Europa attraverso le acque artiche.
La novità è che non si tratta di un viaggio di prova, ma dell’inaugurazione di un servizio regolare: il China–Europe Arctic Express, gestito dalla compagnia cinese emergente Haijie Shipping (o Sea Legend), una delle tante affacciatesi sulle rotte internazionali durante la crisi del Mar Rosso.
L’iniziativa – privata, ma all’ombra di Pechino, si sa, nulla si muove per caso – potrebbe ridefinire le rotte della logistica mondiale ed ha un fortissimo portato simbolico, per via anche della scelta degli scali: partenza da Ningbo-Zhousan, poi attracchi a Qingdao, Shanghai, Danzica, Amburgo, Rotterdam e, infine, arrivo a Felixstowe, il più grande terminal container del Regno Unito. In tre parole: nessun porto russo in quello che è un mare ritenuto ‘di casa’ dal Cremlino.
Rotta più breve, percorrenza dimezzata
Il motivo che chiunque può intuire sia sufficiente a giustificare la scommessa fatta da Haijie Shipping è anche il dato che più colpisce, ossia il tempo di percorrenza: sfruttando la cosiddetta Northern Route, una delle tre rotte attualmente esistenti nei mari artici, ma senza scali intermedi nei porti della Federazione Russa, ci vogliono solo 18 giorni per andare dalla Cina al Regno Unito.
Un taglio decisamente netto rispetto ai 40–50 giorni mediamente richiesti dalla rotta tradizionale attraverso Mar Rosso, Canale di Suez e Mediterraneo. Il vantaggio temporale che così si ottiene rende la rotta artica estremamente competitiva, ergo interessante, soprattutto in un contesto globale le richieste di efficienza e di rapidità nella Supply Chain sono sempre più esasperate, ma al contempo ostacolate.
Considerato però che la prima traversata – al tempo, eroica – dei mari artici venne compiuta da una rompighiaccio russa negli anni Trenta del Novecento, ci sono dei motivi se nessuno sino ad oggi aveva mai azzardato a lanciare un collegamento regolare attraverso i ghiacci del nord.
Quando il cambiamento climatico conta
La possibilità di navigare, con buona probabilità in modo regolare, lungo la Northern Sea Route è, di fatto, resa possibile dal ritiro dei ghiacci artici, effetto collaterale figlio del riscaldamento globale.
Sebbene la finestra temporale certa di navigabilità sia ancora stagionale – limitata ai mesi estivi e autunnali – Pechino punta a rendere il corridoio navigabile tutto l’anno, investendo in navi con particolari standard strutturali e tecnologie avanzate.
La Istanbul Bridge è una sorta di apripista, più simbolica che altro anche per via della sua ridotta stazza, che è una normale portacontainer rinforzata ad hoc per la navigazione tra i ghiacci. Non si tratta di una rompighiaccio, come d’altronde non lo sarebbero le future navi che la Cina vorrebbe far passare dalla Northern Route: Pechino pensa infatti di sfruttare al massimo i corridoi naturali che si aprono per via del riscaldamento globale e, per farlo, ha sviluppato un sistema di monitoraggio in tempo reale dei ghiacci in collaborazione con l’osservatorio metereologico della città di Tianjin.
In prima battuta, un segnale: l’esclusione della Russia
Considerando che le rotte attraverso l’Artico sono tre ed esistono da tempo e che, ovviamente, la possibilità di solcarle sfruttando il disgelo non è ad esclusivo appannaggio dei soli cinesi, la decisione di stabilire un collegamento regolare può essere interpretato in vari modi, ma comunque come un segnale.
La Northern Route di per sé passa davanti a diversi porti russi, che però la Istanbul Bridge non toccherà. Se a ciò si aggiunge che i vantaggi in termini di tempo sono praticamente vanificati, in termini economici, dal maggior costo delle assicurazioni marittime e dagli investimenti necessari per rispettare le stringenti norme di protezione ambientale (gestione delle acque reflue di bordo, scafi rinforzati anti sversamento per prevenire catastrofi ambientali, motori a basse emissioni) diviene evidente che la piccola portacontainer segue soprattutto la rotta di una precisa strategia geopolitica.
In un’epoca di fortissime tensioni internazionali, la Cina sembra voler gettare un ponte verso l’Europa, svincolandosi da alleanze ‘critiche’ come quella russa, dando al passaggio nell’Artico una valenza anche diplomatica.
Il segnale vale anche per Mosca, che nell’operazione non è coinvolta neanche di striscio, il che la relega in una posizione decisamente subalterna a Pechino.
Il ribaltamento a Nord dello Shipping
Molte istituzioni che si occupano dell’Artico hanno immediatamente drizzato le orecchie alla notizia che una compagnia di navigazione, per altro secondaria, cinese avrebbe inaugurato un servizio stabile da Ningbo-Zhousan al Nord Europa passando per la Nothern Route.
È chiaro, infatti, che si tratti di un’esperienza apripista: passata la piccola Istanbul Bridge, è solo questione di tempo perché arrivino ben più grosse e numerose unità – cosa che sia Cina, sia Russia non negano di avere interesse a far sì che avvenga.
D’altronde, le rotte attraverso l’Artico polverizzano quelle tradizionali in termini di tempo e, adesso, sono meno convenienti per via degli investimenti da fare, ma con numeri diversi in campo, il rapporto di forza potrebbe essere invertito.
In tal caso la domanda è che fine farebbe il Polar Code dell’IMO, l’International Maritime Organization, ossia lo stringente codice che tutte le Ong chiedono di rispettare per introdurre i minori agenti inquinanti possibili direttamente nell’ambiente polare artico, di fronte agli enormi interessi economici che la rotta smuoverebbe.
Con un peggioramento dello stato di salute dei ghiacci – ergo, con un altro scatto avanti degli effetti del riscaldamento climatico – la rotta artica diverrebbe ancor più praticabile e non solo stagionalmente: a quel punto, cederebbe una sorta di ‘diga naturale’ che arginava i passaggi a Nord, attirando una bella fetta dello Shipping mondiale.
Una rivoluzione per i trasporti marittimi (meglio non chiedersi cosa accadrebbe ai volumi di merci lungo le rotte mediterranee), ma, forse, anche un deciso contributo alla trasfigurazione dell’ecosistema artico per come lo conosciamo.
Fonte Logisticanews
Settembre 2025