Intervista ad Alessandro Santi di Federagenti
L’inefficienza mondiale del trasporto ha radici lontane. La pandemia ne ha esacerbato i difetti e spezzettato la catena. Oggi i noli marittimi salatissimi sono anche una reazione all’enorme ribasso di una decina di anni fa
di Paolo Bosso
C’è la carenza delle materie prime e dei container da riempire. La mancanza di spazi sufficienti a bordo e la ripresa disomogenea dei consumi dopo un lockdown senza precedenti. Oggi l’offerta di trasporto non riesce più a soddisfare la domanda. Risultato, i noli marittimi sono schizzati alle stelle, arrivando a toccare punte di 20 mila dollari per una singola spedizione container dall’Asia all’Europa. Un fenomeno che è stato visto come una speculazione delle compagnie armatoriali. È vero che le grandi alleanze delle compagnie di portacontainer permettono una chirurgica organizzazione degli spazi di bordo e nell’ultimo anno si è visto come gli armatori di questo settore hanno saputo ben ottimizzare costi e profitti, ma da qui a ricondurre la congestione dei porti alla sola logica di convenienza d’impresa, con le multinazionali come Ikea e Nike che noleggiano intere navi per velocizzare e ridurre i costi di consegna, allontana dalla complessità del reale. «È chiaro che gli armatori, per non ripetere le condizioni della crisi del 2008, negli ultimi anni hanno diminuito la capacità di stiva per non viaggiare in perdita, e nell’ultimo anno hanno recuperato efficienza ordinando nuove navi e acquistando container. Ma è del tutto fantasioso parlare di cartelli», afferma il presidente di Federagenti, Alessandro Santi. «La crescita dei noli – continua – è legata alla necessità dei vettori di garantire la sostenibilità economica nei servizi dopo le perdite successive al 2008. La soluzione sta nell’aumento di flotta ed equipaggiamento. Va capita la funzione della logistica per riequilibrarla, degli enti regolatori, e va capita la logica degli armatori».
Che cosa intende per
disequilibrio logistico?
«Con la pandemia il mondo si è fermato. In precedenza, con la spinta
dell’e-commerce, che oggi è pari a quasi un terzo delle spedizioni, la
richiesta di trasporto ha avuto un impulso inaspettato a cui la logistica si
sta ancora adattando. La mancanza di container, poi, ha determinato
l’interruzione delle catene logistiche. Dopo il lockdown assistiamo a una
distribuzione della domanda a macchia di leopardo, geograficamente disomogenea,
con regioni commerciali in ripresa e altre no. In Cina e negli Stati Uniti, per
esempio, la domanda è schizzata, mentre in Europa la ripresa è più lenta. Di
fronte a tutto questo gli armatori, utilizzando gli strumenti del mercato,
quindi senza alcuna irregolarità, stanno cercando di non ricreare le condizioni
successive al 2008, quando la sovracapacità portava ad avere spedizioni a
prezzi bassissimi con conseguenze disastrose che hanno portato al fallimento di
molte imprese marittime».
Ci può fare qualche
esempio?
«Quello più calzante viene dalle
compagnie aeree low cost. Era economicamente sostenibile pensare di volare su
Londra pagando 9,99 euro? Un prezzo che indicava come il vettore aereo pur di
conquistare fette di mercato viaggiasse in perdita. Prima della pandemia, si
trattavano noli marittimi dalla Cina all’Europa a livelli così bassi da far
emergere in modo evidente come anche gli armatori lavorasero in perdita. Per le
compagnie marittime in generale, non solo quelle che trasportano container, era
impossibile remunerare il capitale investito, prova ne sono stati i numerosi
fallimenti d’impresa seguiti al crack di Lehman Brother. Per analizzare
razionalmente l’andamento dei noli bisogna guardare i grafici degli ultimi
dieci anni e osservare come siamo passati da un estremo all’altro. Si quando
sono molto bassi che quando sono molto alti non c’è sostenibilità. È
ragionevole, quindi, pensare che si raggiungerà un nuovo equilibrio».
Dopo il lockdown mondiale
della primavera 2020 abbiamo assistito a una “socializzazione”
dell’economia di mercato. Non si vedevano da tempo aiuti statali di tale
portata, con programmi di sostegno inimmaginabili ai tempi dell’austerity del
governo Monti e della privatizzazione dell’economia della Grecia.
«Fortunatamente, gli Stati non si sono chiusi del tutto, anche se ciascuno ha
avuto una reazione diversa, provocando in parte questa logistica a singhiozzo.
L’Italia è stata in lockdown duro per due mesi, la Gran Bretagna no. La
logistica è una matassa globale con una logica statistica alla base, la stessa
dell’overbooking dell’aereo o dell’albergo. Deve avere ben presente quali sono
le aree di export e quelle di import, ma quando queste ripartono al
rallentatore e in modo disomogeneo l’analisi statistica diventa complicata e il
sistema si disequilibra. Gli effetti sono ben visibili».
Quanto pesa la mancanza di
container?
«Molto. In una spedizione, dopo aver
scaricato la merce, il container ritorna al carico passando per vari Paesi del
mondo. La spedizione marittima ha caratteristiche globali, non locali: lo
shipping si basa sull’ottimizzazione statistica dei flussi cercando di
bilanciare la capacità di carico all’interno di un sistema mondo. Nel momento
in cui ci si è trovati di fronte a un’enorme domanda senza un’adeguata
copertura che permetta di riportare i container in tempo per una nuova
spedizione, si è creato un totale disequilibrio».
Quindi c’è un aspetto
temporale, come le dinamiche di mercato che vanno avanti da decenni e gli
effetti della pandemia; e uno spaziale, cioè i flussi logistici mondiali che
non riescono più a coordinarsi, con reattività eterogenee da parte dei singoli
Paesi industrializzati.
«Oggi in alcuni porti della costa americana o cinese abbiamo decine di navi
ferme per settimane in attesa di entrare nei porti. La nuova organizzazione
sanitaria ha fatto calare la performance di tutti i terminal portuali. A causa
del Covid, cioè per via dei focolai, delle quarantene, dei blocchi periodici,
della scarsità di personale, l’efficienza dei terminal è calata drasticamente,
com’è successo nel porto di Yantian».
Il caro noli è quindi
riconducibile a una serie di fattori: riduzione degli spazi di bordo, mobilità
ristretta, carenza di materie prime, carenza di container vuoti. Il blocco del
canale di Suez, in questo scenario, è stato passeggero ma ha però mostrato una
fragilità intrinseca.
«Suez è uno dei cosiddetti colli di bottiglia logistici mondiali. Se per
riequilibrare il mercato bisogna sopperire con diseconomie di scala, la catena
logistica diventa inefficiente. Costruire navi oggi significa fare enormi e
incerti investimenti ambientali. Gli armatori stanno spendendo tanto denaro
senza avere certezze sulla tecnologia di propulsione da adottare. Le navi non
sono utilitarie, devono durare decenni e l’armatore, in teoria, dovrebbe sapere
come alimentarle mentre oggi, rispetto al passato, si ritrova a gestire navi
che con la transizione energetica rischiano di invecchiare molto velocemente,
magari perché utilizzano carburante che andava bene quando sono state ordinate
ma non più nel periodo in cui sono pienamente operative».
Di fronte a questa
complessità, come uscirne?
«Quando i noli erano bassissimi la
domanda non ha contribuito a trovare una soluzione e gli armatori hanno subito
grosse perdite. Oggi la situazione è rovesciata ma disequilibrata. La soluzione
resta nella sostenibilità della logistica globale. Aumentare la flotta e
l’equipaggiamento, per esempio, potrebbe aumentare la capacità logistica
riequilibrandola. Va capita la funzione della logistica, degli enti regolatori,
e va capita la logica degli attori economici, per primi quella degli armatori».
E quale sarebbe questa
logica?
«Costruire una nave portacontainer costa da svariate decine a qualche centinaia
di milioni di euro. L’attività armatoriale è altamente capital intensive e
riguarda soggetti imprenditoriali che operano in un mercato competitivo. Il
diritto al profitto non può essere visto come una colpa ma anzi è salutare.
Oltre ad aumentare flotta ed equipaggiamento, andrebbero ridotti i colli di
bottiglia, come il canale di Suez, rendendo il sistema più efficiente. Infine,
bisogna limitare la congestione dei porti. Questo è un approccio che riflette
la complessità dell’esistente e cerca di efficientare il sistema. Gridare al
cartello non risolve nulla».
La logistica delle spedizioni
nell’economia mondializzata, di cui il 90 per cento passa per la nave, è
profondamente cambiata nell’ultimo anno, pur restando sostanzialmente la
stessa.
«Nel passato vigeva la logica dello stoccaggio, mentre negli ultimi anni è
prevalsa quella del just in time, che ha dato grandi benefici all’efficienza e
all’ottimizzazione del trasporto merci. Ma in un momento di disequilibrio
totale, con la domanda così instabile, la produttività disomogenea e la carenza
di materie prime, il just in time non funziona più così bene e tende ad
allungare la catena».
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TAG: ECONOMIA – FEDERAGENTI – CONTAINER