di Andrea Lombardo da Logistica
Mai, come in questi ultimi anni, era accaduto che una serie di eventi negativi di difficile previsione si susseguissero a creare quella che molti hanno definito la tempesta perfetta.
Un insieme di fenomeni, in realtà solo relativamente nuovi ma fortemente amplificati dai moderni sistemi di comunicazione rispetto al passato, ha infatti messo in crisi modelli di vita, ormai largamente diffusi, che dettavano priorità di consumo quasi irrinunciabili.
Strumenti e modalità di gestione che avevano funzionato bene negli anni precedenti grazie a condizioni di stabilità ed affidabilità, si sono improvvisamente rivelati inadatti a fronte delle nuove turbolenze che hanno investito i mercati mondiali.
Ne sono un esempio le catene di approvvigionamento basate sul Just in Time (JIT) che hanno mostrato i loro limiti durante la pandemia allorché gli scaffali vuoti nei magazzini hanno denunciato il rischio insito nell’aver formulato ordini costituiti dal minor quantitativo possibile in nome dell’efficienza.
Oggi, però, con una situazione diametralmente opposta ed in presenza, in molti casi, di ingenti scorte ed una domanda divenuta più conservativa, non è superfluo chiedersi se sistemi come il just in time, il cui concetto è quello di approvvigionare il necessario, solo quando serve, possano ancora ritrovare una loro appetibilità anche se andrebbero riformulati
Il Just in Time non è morto
Secondo l’opinione di una parte degli operatori, le tecniche di gestione snella e focalizzate alla ricerca dell’efficienza e alla limitazione degli sprechi, continueranno ad avere un futuro.
Certamente, pensare di applicare il just in time alla lettera non è più pensabile ma occorre tener conto del buon senso considerando le trasformazioni in atto sul mercato, la maggior volatilità della domanda e della necessità di creare, quindi, gli stock più appropriati dei componenti definiti strategici.
Nel passato, ben prima della pandemia, molte aziende si erano focalizzate completamente sulla ricerca dell’efficienza senza tener conto che la catena degli approvvigionamenti avrebbe potuto non supportare adeguatamente le esigenze della domanda e quindi produttive.
Queste aziende, quindi, si sono assunte un rischio senza preoccuparsi però di modificare, nel tempo, il loro profilo di inventario con la conseguenza di farsi trovare impreparati di fronte ad un cambiamento.
Il Just in time, pertanto, potrà continuare ad avere un suo sviluppo solo a valle di decisioni strategiche relative alla definizione dei prodotti-chiave per cui è necessario investire in magazzino per supportare i modelli di domanda in evoluzione.
Questo nuovo atteggiamento, che non segue il concetto di Just in time alla lettera ma prevede il rimodellamento costante delle catene di approvvigionamento, certamente comporta un assunzione di rischio da parte della dirigenza delle aziende basato sul monitoraggio del mercato per prevenirne la riconfigurazione, quando necessario, ed il relativo dimensionamento.
Si fa strada il Just in Case
L’epidemia di Covid-19, come già detto, ha messo a nudo i problemi legati ad una gestione che, pur abbattendo in modo meritorio i costi legati allo stoccaggio e agli sprechi, comportava il pericolo di essere estremamente vulnerabile alle interruzioni di forniture e, più in generale, ad ogni anomalia della supply chain.
In particolare, i lockdown imposti dalla pandemia hanno avuto forti ripercussioni sull’intera catena degli approvvigionamenti, dalle materie prime ai trasporti, fino a bloccare le produzioni generando ritardi e disallineamenti tra domanda ed offerta.
Ritardi il cui recupero spesso è stato compromesso dal sorgere di altri fattori di crisi come il conflitto Russia-Ucraina, l’emergenza energetica, i disastri meteorologici.
Per questi motivi la maggior parte delle aziende ha preso in considerazione e, in buona parte, ha realizzato, il passaggio dal Just in time al Just in Case.
Quest’ultimo è un sistema che non si pone l’obiettivo dell’efficienza assoluta ma piuttosto della sicurezza della fornitura, fattore diventato fondamentale in periodi di crisi.
In pratica, esso comporta la creazione di stock per il magazzino almeno per quei componenti o prodotti finiti ad alta richiesta in modo da poter gestire in modo efficace i picchi della domanda, eventuali interruzioni nel processo di approvvigionamenti e cambiamenti nei modelli di consumo.
Il Just in case, così concepito e non esteso alla totalità delle forniture, può convivere con forme di Just in time seppur modificate con l’adozione di una maggior flessibilità.
L’elemento su cui alcuni studiosi del settore tendono ad attirare l’attenzione è l’importanza assunta dagli inventari di sicurezza che rappresentano una funzione dell’incertezza della domanda e dell’offerta.
Certamente il Covid-19 prima, le crisi geo politiche ed energetiche, dopo, hanno esacerbato entrambe le forme di incertezza portando molte aziende a sovradimensionare il livello degli stock, fenomeno però destinato progressivamente a rientrare con il normalizzarsi delle catene di approvvigionamento.