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    La logistica italiana e la sfida della sostenibilità

    È ormai chiaro che la sfida della sostenibilità ambientale sarà il banco di prova per tutti nei prossimi decenni. Gli impegni presi a livello planetario ed Europeo con l’Accordo di Parigi ed il Green Deal e i successivi pacchetti di misure quali il Green Act negli Stati Uniti e il Fit for 55 in Europa, sono tanto concreti quanto ambiziosi.

    I trasporti a livello europeo causano circa il 25% delle emissioni di CO2, ma non in modo uniforme. Il trasporto delle merci “inquina” in proporzione molto di più di quello viaggiatori, oggi il 36% delle emissioni dei trasporti è dovuta alle merci. Per l’Ue è uno di quei settori difficili da abbattere (hard to abate) dove non sono ancora mature le scelte tecnologiche sui vettori energetici (elettrico, idrogeno, biocarburanti) per le diverse modalità, gomma, mare, aereo. Sta di fatto che l’incidenza delle emissioni dovute al trasporto merci è in continua ascesa e si stima che entro il 2050 raggiungerà la quota del 50 % delle emissioni dell’intero settore dei trasporti. Né si può immaginare di ridurre le merci trasportate. Questo è il significato del concetto di sostenibilità a tutto tondo: ambientale , certo, ma anche economica e sociale.

    Di fronte a questo quadro sarebbe necessaria una presa d’atto delle reali possibilità del settore della logistica al raggiungimento degli obiettivi generali, presa d’ atto che al momento non si intravede. A mio avviso bisogna mettere in campo una politica eco-razionale. Le cose da fare senza ideologia e molta concretezza sono tante e se ne discuterà nella prossima Agorà di Confetra il 16 novembre.

    In Italia, la logistica continua a essere vista come una commodity fungibile e da acquistare al prezzo più basso possibile, come una vite o una lampadina, tanto è vero che essa è di solito affidata al responsabile degli acquisti. Nulla di più sbagliato. Una ricerca recente calcola che la logistica produce in media il 70% delle emissioni di CO2 della produzione industriale per unità di prodotto. In media, appunto. Per alcuni prodotti di largo consumo, la CO2 prodotta per la sola distribuzione finale è addirittura doppia rispetto a quella emessa per la produzione del bene. Inutile quindi investire per rendere la produzione sempre più sostenibile, se la stessa azienda non si preoccupa nemmeno di conoscere le emissioni causate dalle proprie scelte logistiche, da ciò che accade al di fuori dei propri cancelli.

    E’ necessaria una vera e propria riforma culturale che dovrebbe basarsi su alcuni punti fermi per raggiungere una “logistica 3S”, semplice, sicura e sostenibile. Innanzitutto, certificare la “sostenibilità logistica” delle imprese che chiedono servizi logistici e di quelle che li producono. L’ importante è che la domanda, quella pubblica in primis, premii la sostenibilità nelle gare e nelle altre forme di incentivazione consentite (ad esempio, ingressi nei centri storici piuttosto che concessione di sussidi alle imprese).

    Bisogna inoltre ridurre sensibilmente il carbon footprint di una tonnellata trasportata e questo dipende da quante tonnellate sono trasportate da ciascun veicolo e da quanta CO2 emette quel veicolo. Si può migliorare a partire da un uso più intenso delle modalità di trasporto con minori emissioni per unità di trasporto, come la ferrovia o il RO-RO con navi efficienti. Ma bisogna essere realistici: la gran parte degli spostamenti merci sono di breve percorrenza e non hanno alternative alla gomma come invece avviene per i passeggeri. Bisogna combattere una vera battaglia per ridurre il trasporto di aria, che è di gran lunga la “merce” più trasportata oggi.

    La riduzione del magazzino, la crescita dell’e-commerce e altre tendenze in atto nella produzione e nella distribuzione di merce aumentano la domanda di trasporto su gomma e riducono i riempimenti. I veicoli km percorsi dai mezzi pesanti sulla rete autostradale negli ultimi mesi hanno già superato di oltre il 2 % i valori del 2019, a fronte di un PIL che se va bene a fine anno sarà sotto del 4 % rispetto al periodo pre-Covid. La tecnologia può contribuire a migliorare in modo decisivo la geografia dei flussi incrementando il load factor medio e riducendo le percorrenze a vuoto, in particolare attraverso la digitalizzazione , la crescente capacità di raccolta e analisi di enormi quantità di dati ed informazioni (Big Data) , lo sviluppo di protocolli e tecnologie utili a certificarne gli scambi, quali ad esempio la Blockchain. Leggi tutta la notizia



    Fonte: THE MEDI TELEGRAPH

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