La vita (difficile) del camionista, i giovani fuggono dalla guida

Qualche anno fa avevamo raccontato sul Corriere della Sera la storia di Alessandro Gabanella, detto Valanga. Ci aveva raccontato dei suoi contratti sempre precari ma anche della sua grande passione. Stipendio da 1.800 euro al mese, settimane intere al volante passando dogane e frontiere. Amici improvvisati nei motel di ogni dove. Marocchini, Pachistani e poi romeni, i bulgari. Le «navi-scuola», gli amori, il forno da campeggio, i panini e i «bocadillos», le notti a Novara con la nebbia fitta sulla Torino-Milano e la responsabilità di carichi come macigni, l’attenzione spasmodica che non ti freghino la benzina mentre sei in dormiveglia. La carreggiata unico metro di riferimento e il parlare da soli per dissimulare la solitudine.

Ci aveva raccontato il sottobosco di illegalità che regna nel suo mondo. Le “porcherie” come le chiamava lui. Ii contratti bulgari, che aveva spiegato così: «Io lavoro in Italia, con un mezzo italiano, trasporto merce italiana da e per l’Italia, sono italiano e tu cosa mi proponi? Il contratto bulgaro». In pratica succedeva così e succede così anche ora: in Bulgaria i camionisti guadagnano un terzo dello stipendio italiano e le tasse e i contributi sono minimi. Ma la Bulgaria, come la Romania, fa parte dell’Unione europea e — in virtù della liberalizzazione del mercato e della volontà di Bruxelles di favorire la mobilità sovranazionale — molti “paletti” sono stati divelti. Si moltiplicano le aziende italiane di trasporto che chiudono nel nostro Paese per aprire una sede fittizia nell’est Europa.

Con la complicità di agenzie interinali italiane (su cui siti campeggiano diversi annunci per autisti romeni) e persino di una sigla sindacale, la Unitai (aderente a Conftrasporto) che aiuta i «padroncini» a chiudere da noi per riaprire in Bulgaria fornendo tutte le informazioni del caso. L’esito — spiegò Alessandro — «è che se non fai come ti dicono loro resti a casa. E al tuo posto assumono un bulgaro, oppure riassumono un tuo collega italiano con un contratto bulgaro riconoscendogli in nero lo stipendio che aveva prima , ma non pagandogli più contributi e tanto meno le tasse. Se non accetti — e se ti va bene — rischi di diventare un cassintegrato. Con i sussidi dello Stato italiano, i soldi per la formazione italiani, la merce trasportata italiana da un tuo collega italiano a finanziare il welfare di Romania e Bulgaria».

Ora, rivela la rivista Uomini e Trasporti, solo il 18,1% di chi guida un mezzo pesante in Italia ha meno di 40 anni. L’età nell’autotrasporto avanza. Più di 500 ultranovantenni oggi in Italia sono ancora a capo di una ditta individuale che fa trasporto di merci su strada (dati infocamere). Il 66% dei padroncini ha più di 50 anni. Il ricambio generazionale risulta difficile nel settore: più dell’85% dei trasportatori ha riferito che i propri figli non vogliono fare il lavoro dei padri. Secondo alcune stime in Italia mancherebbero circa 15mila autisti di camion, un gap colmato solo in parte dalla forza lavoro proveniente dall’Europa dell’est o il Nord Africa.

Secondo i dati del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti oggi in Italia sono attive 1,17 milioni di CQC, carte del conducente che in linea di massima equivalgono a un autista in attività (nel trasporto merci e persone). Di questi, il 45,8% ha più di 50 anni. Solo il 18,1% è al di sotto dei 40 anni. Se l’analisi si sposta sui titolari di patente C, la situazione appare anche più grave: qui, su 1,2 milioni di autisti, il 60% ha già compiuto i 50 anni. Stesso trend tra i titolari delle ditte individuali, i cosiddetti padroncini. Secondo i dati di Infocamere, il 66% ha un’età compresa tra i 50 e i 90 anni. Oggi risultano più di 500 gli ultranovantenni alla guida di un’azienda di autotrasporto. Sette anni fa, nel 2011, gli over 50 erano “solo” il 52%. Le conseguenze dell’invecchiamento del settore sono molteplici. Secondo l’Inail le denunce di malattie professionali sono cresciute del 34,4% negli ultimi 5 anni, il 58% di quelle del 2017 sono state presentate da lavoratori con più di 54 anni.

Negli ultimi 4 anni in Italia hanno chiuso 8mila aziende di autotrasporto, ma le maggiori perdite sono da rilevare tra le ditte individuali e le società di persone che si sono ridotte di circa 12.000 unità. Oltre alle criticità di sistema, va considerato che spesso quando il titolare va in pensione, la ditta chiude o viene assorbita da realtà più stabili come forme cooperative, consorzi e società di capitali che nello stesso periodo sono cresciute di circa 4.000 unità.

Fonte: CORRIERE DELLA SERA

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