La storia infinita del Ponte sullo stretto

Quasi a ogni cambio di governo l’idea del Ponte sullo stretto di Messina viene riesumata o accantonata. Andrebbe presa una decisione definitiva. Ed è una decisione politica, perché sotto il profilo economico è difficile valutare se l’opera conviene o meno.

Breve storia di un’idea

Il tema del Ponte sullo stretto di Messina torna periodicamente alla ribalta e conviene quindi capirne le origini e il senso. L’idea è secolare, il progetto supera i cinquanta anni. Con un dibattito infinito tra chi lo considera un sogno, chi un incubo.

Nel dicembre 1971 viene approvata la legge 1158/1971 “Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente”, che prevede la costituzione di una Spa incaricata “dello studio, della progettazione e della costruzione, nonché dell’esercizio del solo collegamento viario” (la ferrovia, era affidata alle ferrovie dello stato). La Stretto di Messina Spa doveva essere istituita a cura di Anas, delle regioni Calabria e Sicilia, ciò che è avvenuto solo nel 1981. Dopo alcuni riassetti, dal 2013 la società è in liquidazione.

La liquidazione di un’impresa non è cosa semplice e spesso ci vogliono anni per chiudere effettivamente tutte le partite in corso (crediti, debiti, contenziosi legali e così via). Ma dieci anni sono comunque tanti e riflettono il fatto che sulla scena politica si sono confrontate diverse posizioni, con il susseguirsi di varie fasi di stop and go. Così la Spa è ancora lì, pronta a riprendere le operazioni alla bisogna.

L’iter del progetto e i costi

Il progetto preliminare del ponte fu approvato dal Cipe il 1° agosto 2003, pur con alcune prescrizioni e raccomandazioni. La stima dei costi al 2006 era di poco meno di 4 miliardi di euro (tra progettazione ed esecuzione), somma determinata dopo regolare gara con un general contractor (un’Ati – associazione temporanea di imprese – capitanata da Impregilo, oggi parte di Webuild).

Il contratto non fu però approvato dal governo Prodi nel 2006, mentre fu invece confermato dal governo Berlusconi nel 2008, con il conseguente aggiornamento del piano economico e finanziario, il rifinanziamento dell’intera operazione e l’introduzione di una serie di condizioni che nel 2016 la Corte dei conti definiva “in favore delle parti private”. Dati i ritardi per i lavori, il contractor cominciò ad avanzare pretese (tecnicamente “riserve”) che condussero a una transazione conclusa nell’ottobre 2009; all’epoca il costo complessivo (inclusi oneri finanziari, a quanto si capisce) risultava pari a 6,3 miliardi. Il progetto definitivo è poi stato approvato nel luglio 2011 da un nuovo governo Berlusconi, sulla base del preliminare del 2003.

Purtroppo (per il ponte), quattro mesi dopo, il governo cambiò e il successivo esecutivo Monti espresse forti dubbi sul progetto, di fatto annunciandone l’affossamento. Per limitare i danni da pagare ai privati nel caso di mancata esecuzione fu approvato uno specifico decreto (il Dl 187 del 2012), che però non ha impedito il successivo contenzioso, né la liquidazione della società.

Cosa abbiamo già pagato? La Corte dei conti al 2013 quantificava i costi già sostenuti in oltre 300 milioni (di allora). Purtroppo, è facile prevedere come le analisi e i progetti effettuati siano ormai obsoleti. Nessuno costruirebbe oggi qualcosa di importante sulla base di analisi di venti anni fa, su una situazione di fatto che potrebbe essere cambiata. Quindi, se anche si ripartisse, è facile pensare che si dovrebbe riiniziare più o meno da zero, come si intuisce anche da quanto scriveva nel 2021 il Gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture.

Ma non basta. Sono ancora pendenti i pesanti contenziosi con le imprese che si sono aggiudicate il progetto. Qualcuno ha già conteggiato le richieste tra i costi del progetto, anche se la questione sarà definita al termine di un procedimento assai intricato. Se poi si decidesse davvero di costruire il Ponte, è possibile che i contenziosi vengano in qualche modo composti all’interno del nuovo progetto.

Quanto ai costi futuri (ed eventuali) per costruire il Ponte, un conto serio aggiornato non è pubblicamente disponibile, e soprattutto andrebbe rivisto insieme al progetto, considerando i costi attuali delle costruzioni, che sono esplosi. Sul sito di Webuild si parla di un costo complessivo di oltre 7 miliardi; a me pare ottimistico, ma vedremo… Nel frattempo, a gennaio 2022, il ministero ha avviato un nuovo progetto di fattibilità; con quali ulteriori costi, non so dire.

Occorre poi considerare i rischi. Secondo un recente studio congiunto italo-tedesco, quello sismico si conferma elevato. Ovviamente, ci sarebbero anche significativi rischi ambientali, come per qualunque opera di queste dimensioni. Tutti temi da considerare seriamente, ma che difficilmente bloccherebbero il progetto, se i benefici ci fossero davvero.

Servirebbe? E quali sarebbero i benefici?

Quali potrebbero essere, allora, i benefici? Questa è la vera domanda. E la risposta è tutt’altro che semplice. Fin quando un’opera non viene completata, alcuni costi si materializzano, mentre i benefici sono solo aspettative. E anche i costi futuri sono molto più prevedibili dei benefici. Ciò premesso, l’unica analisi costi-benefici proposta (non dai proponenti – sarebbe chiedere troppo?) conduce a risultati negativi, con costi superiori ai benefici attesi, che sono computati considerando il risparmio nei tempi di trasporto.

Basta questo? Con tutta la simpatia per queste analisi, dobbiamo però ammettere che con un progetto che cambierebbe radicalmente e strutturalmente il territorio, per arrivare a una risposta definitiva occorrerebbe poco meno di una sfera magica, e anche l’analisi costi-benefici aiuta fino a un certo punto. Perché molti parametri fatichiamo a valutarli. È vero che il risparmio di tempo tra un ponte e i traghetti attuali non sarebbe colossale. Ma come valutiamo la flessibilità garantita dal non dipendere dai traghetti? Si è al sicuro da mare grosso, guasti, disorganizzazione dei porti, scioperi. Non si dipende dagli orari dei traghetti. Sotto questo profilo, la Sicilia quasi cesserebbe di essere un’isola. Qual è il valore di questo e a quanto traffico condurrebbe? Francamente, non lo so, e temo nessuno riesca veramente a prevederlo.

I sostenitori del progetto sottolineano poi come connettere un’isola al continente abbia una valenza politica importantissima di tutela della continuità territoriale. Se si concorda che la vicinanza non la si misura in chilometri, ma in tempi di percorrenza e nella loro prevedibilità, allora il ponte avvicina. Quanto pesa questo fattore? È evidente come diverse persone possano avere sensibilità differenti, ma archiviare la questione come irrilevante sarebbe superficiale.

La risposta sulla desiderabilità di questa opera passa quindi attraverso questioni alle quali non credo esistano risposte univoche. È una di quelle opere, in cui si deve riaffermare il primato della Politica (con la “P” maiuscola), sperando che la decisione ultima giunga all’esito di un dibattito aperto, rigoroso, informato e senza pregiudizi.

Cosa succederà? Difficile fare previsioni. Dati i tempi anche solo di approvazione e avvio di opere come questa, se continuiamo ad avere un governo che vuole il Ponte, e quello successivo che lo accantona, continueremo anche ad avere costi di progettazione e di contenzioso senza fine. E nessun ponte.

*Carlo Scarpa, è professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Brescia, dove ha tenuto corsi di Economia politica, Economia industriale e Politica della concorrenza.

di Carlo Scarpa *

da lavoce.info

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