Tra i costi espliciti del prolungamento del passaggio in mare delle merci c’è, come ovvio, il conto spicciolo del carburante consumato
A causa degli attacchi portati avanti dalla milizia Houthi ai danni dei transiti marittimi nel Mar Rosso, molti armatori e compagnie di shipping stanno scegliendo di evitare il passaggio attraverso il Canale di Suez e di deviare le loro rotte attraverso il Capo di Buona Speranza.
Questa decisione – obbligata, va detto – comporta molteplici conseguenze a catena sulla logistica e sull’esercizio stesso della navigazione, in primis un aumento significativo dei costi legati al carburante.
Con uno storico che ormai ammonta ad un semestre, le compagnie di navigazione iniziano ad avere una stima chiara dei costi suppletivi che si trovano costrette a sostenere.
L’impatto sul traffico marittimo
La questione riguarda un po’ tutti: infatti non sono solo le navi di battenti bandiera statunitense, britannica e israeliana, o noleggiate da compagnie di shipping di questi Paesi, ad essere a rischio.
Anche navi senza alcun legame con queste nazioni sono state colpite, rendendo, di fatto, il transito per Suez una roulette russa del mare. Quindi, la spada di Damocle che abbiamo imparato a collegare al mome delle milizie Houthi, ha provocato una diminuzione del traffico attraverso il Canale di Suez di circa il 60%. Questo ha portato a un cambiamento significativo nelle rotte marittime globali, con relativi contraccolpi du consumi, costi e impatto ambientale.
Secondo alcune compagnie di shipping, questo costante ‘dirottamento’ verso Capo di Buona Speranza, rispetto alla tradizionale per Suez, potrebbe aggiungere tra i 200.000 e i 300.000 dollari di costi di carburante per ogni singolo viaggio dall’Asia all’Europa.
Si tratta di una stima basata su una durata del viaggio prolungata di 15 giorni, considerando un consumo di 30 tonnellate di carburante al giorno e un costo di 650-700 dollari per tonnellata metrica di carburante.
Le conseguenze per l’ambiente
La deviazione delle rotte marittime ha per forza anche un impatto significativo sull’ambiente.
L’aumento del tempo trascorso in mare e del consumo di carburante comporta un automatico incremento delle emissioni di CO2: il che rappresenta un passo indietro nella lotta contro l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico.
Nonostante gli sforzi del settore marittimo per ridurre le emissioni attraverso l’uso di carburanti a basso tenore di zolfo e l’esplorazione di alternative al carburante tradizionale, la situazione attuale sta causando un nuovo aumento delle emissioni.
La risposta del settore marittimo
Di fronte a questa situazione, gli esperti del settore marittimo – ma non solo – sottolineano l’importanza di mettere il tema al primo posto nelle strategie internazionali.
Le aziende hanno per adesso reagito in ordine sparso, un po’ sospendendo in toto, un po’ valutando caso per caso, i transiti delle proprie navi nella zona.
Come ben sappiamo è stato anche approntata una sorta di scorta effettuata dalle marine militari statunitense, dapprima, e di altre nazioni sotto la missione Aspides, poi, ma senza ottenere un vero effetto di deterrenza nei confronti delle milizie responsabili degli attacchi.
La crisi nel Mar Rosso sta avendo un impatto significativo sul settore marittimo, sia in termini di costi operativi che di impatto ambientale, ma le soluzioni non sono facili da trovare, visto che la partita nella quale è inserita non si può ascrivere al solo scenario del trasporto merci via mare.
Da Logisticanews
Fonte: seatrade-maritime.com di Andrea Lombardo